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Obesità: è tutta colpa del sistema endocannabinoide?

“L’appetito vien mangiando” è un detto conosciuto da tutti e che gli studi hanno dimostrato essere veritiero.

Quanti di voi davanti ad un ricco buffet, pur non avendo fame, si sono ritrovati a mangiare più del normale? L’appetito è infatti regolato da due meccanismi complementari, quello omeostatico (abbiamo fame quando siamo in deficit calorico) e quello edonico, che è coordinato dai circuiti cerebrali della gratificazione e coinvolge la dopamina e il sistema endocannabinoide; in poche parole, mangiamo perché ci piace ciò che vediamo.


Il sistema endocannabinoide regola molteplici funzioni fisiologiche, tra cui, l’assunzione di cibo, il controllo del bilancio energetico, la modulazione della risposta infiammatoria ed immunitaria, e la coordinazione della risposta allo stress.

Gli endocannabinoidi sono dei messaggeri chimici di natura lipidica, prodotti dal nostro corpo che legano i recettori cannabinoidi, gli stessi con cui interagiscono i fitocannabinoidi , famiglia di composti chimici presenti nella Cannabis, tra cui il THC .


In condizioni normali il sistema si attiva per riequilibrare il nostro organismo. Ad esempio, se si salta un pasto, questa macchina si mette in moto generando gli stimoli della fame, con lo scopo di contrastare lo stress creato dal digiuno, riportando il nostro corpo in una condizione di regolarità. Quando però si sviluppano delle cattive abitudini alimentari, il comportamento di questo sistema viene alterato. Infatti, il ripetuto consumo di cibi gradevoli al palato (il più delle volte grassi e calorici) porta ad un senso di gratificazione molto alto dovuto ad un aumento dei livelli degli endocannabinoidi, rafforzando ancora di più il desiderio di mangiare anche se sazi (iperfagia).

La continua attivazione del sistema endocannabinoide si ripercuote in un malfunzionamento dell’ipotalamo, area del cervello in cui vengono controllati gli stimoli di fame e sazietà, determinando una serie di conseguenze patologiche come l’iperfagia a livello cerebrale, ed un aumento della capacità di assorbimento dei grassi da parte delle cellule adipose, fattori che contribuiscono alla formazione e il mantenimento dello stato di obesità.


L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale. Secondo l’OMS nel mondo circa 1.9 milioni di adulti sono sovrappeso e 600 milioni sono obesi.

L’obesità è un importante fattore di rischio per diverse malattie croniche, tra cui il diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, artrosi, problemi genito-urinari (irregolarità del ciclo mestruale o incontinenza da stress) e lo sviluppo di alcuni tipi di tumore. Oltre alle conseguenze a livello fisico e metabolico, l’obesità è anche legata allo sviluppo di disturbi psichici, come la depressione che in questi pazienti può risultare in un isolamento sociale o una scarsa conformità al trattamento farmacologico, aumentando la morbidità e mortalità delle malattie ad essa correlate.

L’OMS definisce in sovrappeso quelle persone che hanno l’indice di massa corporea (IMC) uguale o superiore a 25 kg/m² fino a 29.99 kg/m², mentre si è in condizioni di obesità se l’IMC è superiore a 30 kg/m².


Parallelamente ad una classificazione quantitativa (eccesso di massa grassa), l’obesità può essere distinta in due forme in base alla distribuzione del grasso corporeo:

l’obesità viscerale o “a mela”, caratterizzata da una maggiore distribuzione del grasso nella regione addominale, e l’obesità ginoide, detta anche obesità “a pera”, in cui il grasso si distribuisce prevalentemente nella zona sotto-ombelicale dell'addome e a livello delle cosce.


In molti pazienti affetti da obesità viscerale è stata osservata un’iperattività del sistema endocannabinoide ed un aumento nell’espressione dei recettori ad esso associati (CB1 e CB2). Per questo motivo, molti studi hanno focalizzato l’attenzione nell’usare questo sistema come target farmacologico nel trattamento dell’obesità.

Nel 2006 è stato commercializzato in Europa il rimonabant, primo farmaco antiobesità antagonista dei recettori cannabinoidi CB1. Tuttavia, nonostante fosse estremamente efficace nel ridurre il peso corporeo, il farmaco è stato ritirato dal commercio nel 2008 in quanto, agendo anche a livello centrale, ha portato all’insorgenza di problemi cardiovascolari e psichiatrici. Ad oggi, diversi gruppi di ricerca stanno cercando di sviluppare dei farmaci che siano degli inibitori periferici dei recettori cannabinoidi, ossia che non agiscano a livello cerebrale.


Recenti studi hanno inoltre evidenziato una correlazione tra un aumento dell’assunzione di acidi grassi omega-6 nella dieta e l’insorgenza dell’obesità. Questi acidi grassi sono coinvolti nella sintesi degli endocannabinoidi e si trovano in grandi quantità nella dieta occidentale (ricca di grassi e zuccheri).

Una ricerca condotta negli Stati Uniti ha evidenziato la stretta correlazione tra la dieta occidentale e l’aumento dei recettori cannabinoidi nell’intestino. I topi esposti ad una dieta ricca di lipidi e zuccheri hanno mostrato già dopo 60 giorni un aumento dei livelli degli endocannabinoidi nell’intestino tenue e nella circolazione sanguigna.

L’assunzione di acidi grassi omega-3 invece, si è rivelata essere utile per invertire la disregolazione del sistema endocannabinoide indotta da una cattiva dieta. Quindi una persona obesa o in sovrappeso dovrebbe diminuire il consumo di omega-6 e aumentare quello di omega-3.


Malgrado i notevoli passi avanti fatti in questo campo, ad oggi non esiste un rimedio farmacologico esente da effetti collaterali gravi per il trattamento dell’obesità. Ma, la combinazione di una terapia farmacologica e un cambiamento nel proprio stile di vita (educazione alimentare, dieta equilibrata ed attività fisica) hanno portato a risultati efficaci e duraturi nel tempo.



Sharon Spizzichino


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