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Neuroni POMC: alleati della sazietà?


Accade sicuramente a tutti di sedersi a tavola, mangiare abbondantemente piatti succulenti e posare le posate asserendo: “Mamma mia, che sazietà!”.

Curiosamente, quasi mai nessuno si domanda quale sia il meccanismo fisiologico e neuronale che ci spinge a rifiutare dell’ulteriore cibo.

Lo stomaco è sicuramente pieno, ma è davvero solo questo ciò che accade? Siamo solo dei contenitori pieni fino all’orlo, oppure il nostro motore, ovvero il cervello, ci mette lo zampino?


Con il tempo, è stato dimostrato scientificamente che il famoso senso di sazietà deriva dall’azione combinata di afferenze periferiche, che coinvolgono tre importanti ormoni: la grelina, un ormone secreto dalle cellule P/D1 sul fondo dello stomaco, la cui concentrazione aumenta durante il pasto; l’insulina, il famoso ormone prodotto dal pancreas in seguito ad un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue e che comunica al cervello il senso di sazietà; infine la leptina, un ormone proteico secreto dalla cellule adipose allo scopo di regolare il bilancio delle riserve energetiche e di segnalare al cervello quando esse sono sufficienti, contribuendo quindi al senso di sazietà. La secrezione di leptina è regolata dal grasso immagazzinato nel tessuto adiposo, e raggiunge la parte inferiore dell’ipotalamo, precisamente il nucleo arcuato, un’area deputata alla regolazione del bilancio energetico. In questa zona, l’assunzione di cibo viene inibita attraverso la stimolazione di neuroni POMC, vale a dire neuroni che producono la proopiomelanocortina (POMC), un pro-ormone che ha appunto un ruolo nel ridurre l’appetito e il consumo di cibo, sia nell’immediato che a lungo termine.

I livelli di espressione di POMC riflettono lo stato energetico dell’organismo: sono infatti molto bassi negli animali a digiuno e aumentano con l’introduzione di cibo. Inoltre, nell’uomo mutazioni nel gene POMC, o modificazioni del suo processamento, sono associati a insorgenza di obesità e insufficienza surrenale.

L'assunzione del cibo è anche regolata dal nervo vago, che ha il compito di ricevere input dallo stomaco e dall'intestino e di trasferirli al tronco encefalico, il quale si occupa di inviare poi le informazioni al nucleo arcuato.

Questi messaggeri vanno poi ad agire su centri superiori dell’ipotalamo, modulando il nostro comportamento nell’aumentare o diminuire il consumo di cibo.


Il 3 marzo 2020, è stato pubblicato un articolo sulla rivista Cell Reports, nel quale viene dimostrato, attraverso uno studio meccanicistico sui roditori, il rimodellamento sinaptico nei circuiti neuronali che controllano l’assunzione di cibo. In particolare, questo studio ha mostrato come l’attività dei neuroni POMC aumenti significativamente in seguito ad un pasto standard e come questa sia legata ad un fenomeno chiamato ritrazione gliale: il circuito neuronale non cambia, ma ci si imbatte in un cambiamento nella forma degli astrociti, una classe di cellule gliali presenti nel tessuto nervoso, che hanno funzione di supporto ai neuroni. Una volta rilevato l’aumento dei livelli di glucosio nel sangue, gli astrociti iniziano a ritirarsi e questo cambiamento della morfologia funziona come segnale di attivazione per i neuroni POMC che stimoleranno appunto il senso di sazietà.

Da questo studio si evince anche come lo stesso discorso non sia valido per un pasto ricco di grassi. Rimane dunque da capire se i grassi soddisfino poco il senso della fame o posseggano il medesimo effetto seppur agendo mediante un circuito neuronale differente.


Possiamo quindi parlare di un vero e proprio rapporto integrato tra intestino e cervello che, ad oggi, risulta ancora difficile da descrivere del tutto. Di sicuro è importante conoscere il funzionamento del nostro organismo, perché capace di rispondere a svariati stimoli e, come in questo caso, al fine di avere un approccio migliore con l’alimentazione.


Roberta Massari

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