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Trattamento al plasma iper-immune e anticorpi monoclonali. Sottili ma sostanziali differenze

Per la prima volta la maggior parte di noi ha oggi a che fare con la complessità del mondo scientifico, che prevede nel suo codice la necessità di provare, in modo inequivocabile, la veridicità delle proprie teorie.

Nel trattamento di determinate patologie, spesso diversi approcci possono essere utilizzati per raggiungere un risultato simile altrettanto efficace. Questo è il caso dei due tipi di trattamento immunologico per il Covid-19, plasma iper-immune e anticorpi monoclonali, di cui sentiamo tanto parlare, ma che hanno tra di loro delle diversità intrinseche, alcuni con scopi comuni e altri con divergenze importanti da comprendere. Come purtroppo accade molto spesso, si sceglie di sposare una causa piuttosto che l’altra, ma nella battaglia contro questo virus ogni approccio è importante.


Entrambi i trattamenti si basano sulla presenza di anticorpi efficaci nel neutralizzare o inattivare il virus. La differenza risiede nella loro produzione: nel plasma iper-immune gli anticorpi vengono prodotti da un’individuo in fase di ripresa dalla malattia; gli anticorpi monoclonali sono dei veri e propri farmaci e vengono prodotti attraverso tecniche di biologia molecolare.


Cosa sono gli anticorpi? per saperne di più cliccate qui.

Esistono diversi tipi di anticorpi, o immunoglobuline, tra questi le IgM e IgG sono quelli che dimostrano maggior efficacia nelle infezioni virali e batteriche. Questi due attori della risposta immunitaria umorale vengono prodotti in fasi diverse della patogenesi.

Osservando la figura, si può notare che generalmente, in una comune infezione, i primi anticorpi a svilupparsi sono le IgM intorno alla prima settimana dal contagio. La loro concentrazione nel sangue aumenta fino al raggiungimento di un picco intorno al 14°esimo giorno, per poi calare alla terza settimana. Le IgG invece si sviluppano più tardivamente e permangono nel nostro organismo per un tempo maggiore. Il loro picco di concentrazione nel sangue coincide con la fase di ripresa dall’infezione, per poi diminuire gradualmente ed estinguersi nel giro di alcuni mesi. Questo significa che se viene prelevato il plasma del paziente convalescente, sarà presente una quantità di anticorpi neutralizzanti altissima (da questo la parola "iper-immune"). Il trattamento del Covid-19 con plasma iper-immune, ovvero ricco di anticorpi specifici per il SARS-CoV-2, si basa proprio su quanto appena detto.

La comprensione delle tempistiche di produzione degli anticorpi è importante anche per una corretta interpretazione dei test sierologici in uso per il Covid-19.

Trattamento con il plasma

Come già spiegato, se dal sangue escludiamo globuli rossi, globuli bianchi e piastrine otteniamo il plasma, composto per il 92% da acqua e contenente sali minerali, nutrienti, enzimi, ma soprattutto anticorpi. Gli anticorpi, frutto delle battaglie fatte dal nostro sistema immunitario che vengono rilasciati nel sangue, sono come delle sentinelle pronte a riconoscere e combattere l’eventuale ritorno di un patogeno già combattuto. Trasferire il plasma di persone guarite a persone malate è uno metodo già utilizzato in passato per altre infezioni virali come l’epatite e la rabbia.

La terapia con plasma iper-immune da convalescenti prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione a pazienti affetti come mezzo per trasferire gli anticorpi anti-SARS-Cov-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto. Come qualsiasi altro trattamento ne deve essere appurata la funzionalità e la sicurezza per il paziente: per questo motivo bisogna condurre trial clinici.

Per poter utilizzare questa metodica i soggetti convalescenti possono donare il plasma a partire dal 14°esimo giorno dalla scomparsa dei sintomi e dopo essere risultati negativi al tampone per SARs-CoV-2, per escludere definitivamente la presenza del virus nel sangue donatore. Inoltre bisogna tener conto delle tempistiche di produzione degli anticorpi: il siero di un individuo guarito da Covid-19, dopo un anno non avrà più la stessa quantità di anticorpi efficaci per curare un paziente malato, rispetto al siero preso nella fase di convalescenza. La finestra temporale nel prelievo è fondamentale.

In questo momento di emergenza il plasma è uno strumento molto efficace ed immediato per migliorare il quadro clinico dei pazienti più gravi, ma come ogni trattamento ha dei pro e dei contro. Nel plasma trasportiamo le tracce del nostro passato clinico quindi oltre agli anticorpi specifici per il SARS-CoV-2, saranno presenti nel plasma tutti gli anticorpi sviluppati durante la vita del donatore, frutto delle molteplici infezioni alle quali è andato incontro. Un’altra questione importante è compatibilità del gruppo sanguigno, quindi molti fattori devono essere verificati prima di poter effettuare una trasfusione di plasma da paziente a paziente, in definitiva solo il 30% dei donatori risulta idoneo. Il plasma è efficace come riserva di anticorpi da utilizzare in momenti di emergenza ma una cura più duratura è necessaria per il futuro.

Anticorpi monoclonali

Considerando la breve finestra temporale utile per il prelievo del siero, un ulteriore punto critico nelle terapie a base di plasma iper-immune è la quantità dei pazienti convalescenti che sta diminuendo sempre più, grazie alla notevole riduzione dei contagi. Meno pazienti avremo, più difficile sarà ottenere siero iper-immune. Ecco perché la ricerca si sta focalizzando sulla produzione di anticorpi monoclonali in laboratorio. A partire dai sieri immuni, si possono isolare quegli anticorpi che inattivano e neutralizzano il virus in maniera più efficiente, si possono clonare e produrre in larga scala attraverso tecniche di biologia molecolare. Ovviamente, essendo dei veri e propri farmaci, devono seguire il complesso iter di trial pre-clinici e clinici e assicurare l’assenza di effetti avversi. Questi anticorpi vengono poi somministrati ai pazienti affetti da Covid-19 ed il risultato, non solo è migliore del siero iper-immune, dal punto di vista dell’efficacia, ma anche dal punto di vista della sicurezza. Gli effetti collaterali e le problematiche legate all’utilizzo e approvvigionamento del siero umano, verrebbero completamente bypassate. Avere questi i anticorpi monoclonali specifici per l’infezione ci permetterebbe di avere una cura più mirata e in quantità illimitate. Inoltre possono essere somministrati come profilassi alle persone in prima linea che sono ad alto rischio di infezione. In questo caso l'iniezione dovrà essere ripetuta ciclicamente -circa ogni 3 mesi- poiché la quantità di anticorpi diminuirà con il tempo. Un approccio che nulla ha a che vedere con la vaccinazione.


Se somministriamo al paziente anticorpi monoclonali o siero iperimmune otteniamo una risposta al trattamento, sicuramente efficace, ma temporanea e passiva. Il loro effetto non è immuno-stimolante, come nel caso del vaccino, quindi non avremo il raggiungimento di una memoria immunologica e non saremo protetti nel caso di una seconda infezione. Con questi due approcci terapeutici alternativi, introduciamo nell’organismo gli anticorpi, ovvero il frutto della battaglia del sistema immunitario di un’altra persona, senza che il nostro abbia svolto il suo dovere e memorizzato la strategia di guerra ottimale contro il virus. Quindi, se il plasma è una cura d’emergenza e gli anticorpi monoclonali una cura e una protezione temporanea, per quanto riguarda la prevenzione abbiamo bisogno comunque del vaccino.

Plasma, anticorpi monoclonali e vaccino sono tutti strumenti indispensabili per la battaglia contro questo virus, ognuno con una rilevanza diversa nel tempo. Non ci sono parti da prendere, ma semplicemente restare uniti a fare il tifo per un risultato che porti al bene comune.



Giulia Zarfati e Shirley Genah

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