Mai come in questo periodo storico ci troviamo a far fronte alle conseguenze del rapporto millenario tra l’uomo e la Terra. Abbiamo fondato il nostro schema produttivo sulle risorse del pianeta, adottando un modello lineare: estrazione della materia prima, trasformazione in prodotto, utilizzo e smaltimento.
L’estrazione minerale ha origini antichissime: nel lontano 3000 a.C. gli antichi egizi erano soliti inviare spedizioni minerarie al fine di estrarre turchese e rame dal sud Sinai, ammaliati dai gioielli e dagli oggetti ornamentali che si potevano ricavare da queste pietre. E seguivano il modello lineare sopra enunciato.
La domanda sorge quindi spontanea: dopo migliaia di anni questo procedimento produttivo è ancora sostenibile? Purtroppo no, e in questo articolo vedremo le ragioni del perché.
Questo modello, oltre ad essere estremamente dispendioso economicamente e a generare un grande accumulo di rifiuti, non è applicabile sul lungo periodo in quanto le materie prime non sono una risorsa inesauribile. Da qui nasce l’esigenza di un approccio alternativo che miri a una maggiore sostenibilità ambientale: lo schema produttivo circolare. L’idea alla base dello schema circolare è quella di riqualificare i rifiuti, trattarli al fine di dare loro nuova vita, generando materie prime “secondarie” che vadano ad alimentare la produzione, affiancandole alle materie prime “primarie”.
Le risorse del pianeta non sono infinite
Le fonti per ottenere tali materie prime secondarie non sono altro che i rifiuti e scarti e sottoprodotti di lavorazioni industriali. Una categoria particolarmente interessante è rappresentata dai cosiddetti rifiuti tecnologici: essi comprendono rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) come per esempio grandi e piccoli elettrodomestici (frigoriferi, forni a microonde) e apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni (computer, cellulari) e le batterie, (escluse le piombo acido per le quali risulta più efficiente un altro tipo di processo di recupero già consolidato). Tali rifiuti sono costituiti principalmente da metalli quali ferro, alluminio, rame e in concentrazioni inferiori nichel, cromo, stagno e zinco e plastiche come polietilene, polistirene e polipropilene..
Considerando la composizione di questi rifiuti, appare evidente come una loro erronea gestione sia pericolosa per l’ambiente e per l’essere umano. I metalli presenti nei rifiuti tecnologici sono infatti tossici, non biodegradabili e si bioaccumulano negli organismi viventi, ovvero penetrano nei tessuti degli organismi con cui entrano in contatto tramite acqua e cibo, risalendo la catena alimentare fino all’uomo. I rifiuti tecnologici, pur rappresentando circa il 2% in peso di tutti i rifiuti prodotti, secondo Legambiente costituiscono il 70% dei rifiuti pericolosi.
Questo dato appare ancor più preoccupante se si pensa che i rifiuti tecnologici rappresentano la categoria di rifiuti con la più veloce crescita nel mondo, che ha visto un aumento negli ultimi anni passando secondo l’European Environment Agency dai 34 milioni di tonnellate nel 2010 ai 54 milioni di tonnellate nel 2019. Tale drammatico incremento è da attribuirsi all’aumento dei consumatori e al rapido avanzamento tecnologico, ed è destinato a crescere ulteriormente.
I rifiuti tecnologici costituiscono un'enorme percentuale dei rifiuti tossici
A questo punto ci si potrebbe chiedere: i rifiuti tecnologici sono solo un problema? La risposta è no. Infatti i rifiuti tecnologici rappresentano anche una potenziale risorsa, dal momento che contengono percentuali di metalli critici e preziosi superiori rispetto a quelle presenti nei minerali (se contenessero metalli diversi o concentrazioni più basse di metalli preziosi non si potrebbero considerare una risorsa), non necessitano di attività di estrazione o pretrattamento e dopo la raccolta sono direttamente disponibili per l’estrazione dei metalli stessi. Ciò è di particolare interesse economico, in quanto in Europa le materie prime primarie sono ormai esigue e in via di esaurimento. Infatti, l’Europa è ancora totalmente dipendente da fonti extraeuropee per alcune materie prime di fondamentale importanza per le attività industriali, le tecnologie moderne e l’ambiente come la produzione di hard disks, schede di circuiti stampati, schermi a cristalli liquidi e pannelli fotovoltaici, i quali richiedono tutti l’utilizzo di materie prime critiche. Va da sé che riuscire ad ottenere questi metalli preziosi e critici per l’economia europea dal trattamento ottimizzato dei rifiuti tecnologici rappresenterebbe una svolta epocale, perché renderebbe l’Europa indipendente per una buona parte del suo fabbisogno.
Attualmente i rifiuti tecnologici contenenti i metalli vengono trattati insieme a materie prime primarie nei processi pirometallurgici. Tali processi ad alta temperatura operabili solo su larga scala si associano a produzione di gas serra e altre emissioni gassose nocive. Un’alternativa sicuramente più sostenibile, da un punto di vista ambientale, è rappresentata dai processi idrometallurgici, che consentono di recuperare tutte le componenti dei rifiuti con un basso impatto ambientale e una fattibilità in termini economici anche su media scala. Questi presentano però limiti tecnologici nelle sezioni di pretrattamento e separazione dei rifiuti, i quali, a causa della loro eterogeneità, generano complessità che rende il processo troppo costoso in relazione al volume attuale ricavato dal riciclaggio dei rifiuti tecnologici. La strategia da adottare per tutelare l’ambiente e svincolarsi economicamente dalle risorse extraeuropee dovrebbe quindi mirare all’investimento su processi industriali e tecnologie capaci di trattare in maniera efficace e sostenibile i rifiuti tecnologici, aumentare i target di raccolta e riciclo e migliorare il controllo e la gestione dei rifiuti che spesso finiscono in schemi di raccolta non ufficiali, seguendo flussi illeciti di esportazione e trattamento.
L’idea alla base dello schema circolare è quella di riqualificare i rifiuti, trattarli al fine di dare loro nuova vita
Purtroppo, nonostante la presenza di normative europee che stabiliscono i target di raccolta e riciclo dei rifiuti tecnologici, la realizzazione di una filiera produttiva basata sul riutilizzo dei rifiuti riscontra ad oggi una moltitudine di ostacoli e appare molto limitata.
Da qui nasce il bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica. Ènormale sentirsi impotenti dinanzi all’entità di un problema così complesso, ma non lo siamo. In quanto cittadini e consumatori abbiamo il dovere di responsabilizzare su questa missione cruciale i governi, le imprese e noi stessi. Parliamone: la raccolta dei rifiuti parte dalle nostre case, ed è pertanto necessario collaborare affinché la gestione sia più efficiente, segnalare quindi i disservizi e scegliere prodotti realizzati con materiali riciclati.
Micol Di Veroli
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