Ammettiamolo: se ci dicessero che basta fare sempre un certo gesto (per cui magari siamo anche particolarmente bravi) perché tutto vada a finire esattamente come previsto, da una parte saremmo forse rasserenati, ma poi subentrerebbe così veloce la noia... Fortunatamente, la casualità recita un ruolo essenziale nel teatro della nostra vita e la scienza in primis deve molti dei suoi successi (e soddisfazioni) a questo attore.
La capacità di osservazione e il caso sono infatti i due ingredienti segreti che hanno portato ad una delle scoperte più importanti e rivoluzionarie nel campo della medicina, che ha cambiato il mondo e il destino di innumerevoli pazienti affetti da una strana malattia: il diabete.
Siamo alla fine dell’800 e la diagnosi di questo morbo suona ancora come sentenza di morte. Anche i medici più brillanti, a quei tempi, non avevano granché da offrire per aiutare le persone affette da tale patologia. Diete molto rigide venivano raccomandate ai pazienti, che riuscivano a guadagnarsi così qualche anno in più di vita, ma senza la possibilità di salvarla. Il diabete era quindi una vera e propria condanna, fino a quando…
I fisiologi sono alle prese con un acceso dibattito: è possibile asportare totalmente il pancreas di un animale e sperare che questo sopravviva? Nel 1889, Oscar Minkowski (1858-1931), medico lituano di origine ebraica, si trova a Strasburgo per studiare sotto al clinico medico Bernhard Naunyn, di cui diventa presto l’allievo prediletto. Nel frattempo, Joseph von Mering (1849-1911) sta studiando gli effetti del pancreas sulla digestione, che in effetti è in grado di produrre alcune proteine (gli enzimi pancreatici) capaci di demolire nell’intestino i cibi ingeriti, siano essi di natura proteica o lipidica. Nel tentativo di stabilire l’importanza del succo pancreatico, Mering propone all’amico Minkowski, abile operatore con esperienza nella rimozione del fegato negli uccelli, una pancreasectomia totale (asportazione totale del pancreas) in un cane. Minkowski accetta la sfida e, con la benedizione del maestro Naunyn, si immerge nei suoi esperimenti, ottenendo ottimi risultati: l’operazione, senza preparazioni speciali, è un successo e incredibilmente il cane sopravvive. I due pensano quindi che presto avrebbero utilizzato il cane come modello per gli studi sui grassi, come pianificato inizialmente. Fin qua, nulla di eccezionale. Il metodo scientifico procede secondo la sua puntuale logica: curiosità, intuito e abilità portano al risultato sperato. Ma come detto, è il caso il vero protagonista della storia.
L'attento inserviente di laboratorio infatti, Herr Joseph Zinck, comincia a lamentarsi con il dottor Minkowski dell’animale utilizzato nell’esperimento: il cane, che prima era così pulito, ora non faceva altro che urinare incessantemente in tutti gli angoli della stanza, attirando continuamente nugoli di mosche. Cosa era capitato? Minkowskidecide di "seguire un impulso momentaneo" e, senza avere una reale idea di ciò che avrebbe trovato, decide di esaminare quella stessa urina col reattivo di Trommer. Ciò che osserva, unicamente per sua curiosità, lo porterà inequivocabilmente a rivoluzionare il mondo della medicina senza esserne a conoscenza: l’urina è ricca di zucchero, proprio come quelle di un malato di diabete! Nel frattempo, il cane muore ischeletrito in coma diabetico. A questo punto, all’osservazione non può che affiancarsi l’intuizione: partendo dalle conoscenze dell’epoca sul diabete, i due ipotizzano che l’asportazione del pancreas sia in grado di rendere l’animale diabetico. Il pancreas, in altre parole, deve quindi essere in grado di produrre qualche secrezione indispensabile per controllare l’utilizzo dello zucchero da parte dell’organismo. Le teorie non tardano a diffondersi e a contrastarsi. Minkowski stesso, fino al 1895, non trova spiegazioni convincenti per il suo diabete da asportazione del pancreas.
Per arrivare all’attuale terapia e quindi alla scoperta dell’insulina così come la conosciamo oggi, dovrà passare ancora qualche decennio, quando le complesse e parallele ricerche degli scienziati del tempo si fonderanno insieme come pezzi di un puzzle.
Infatti, nel 1921, finalmente, la rivelazione: Frederick Banting e Charles Herbert Best riescono a isolare l’ormone insulina prodotto dalle cellule β del pancreas. Nonostante sarà il solo Banting nel 1923 a ricevere il premio Nobel per la medicina per questa rivoluzionaria scoperta, la sua ricerca deve comunque molto ai ricercatori a lui antecedenti, come Georg Ludwig Zuelzer e Nicolae Paulescu. Circa vent’anniprima, infatti, il medico rumeno Paulescu aveva isolato una soluzione acquosa dal pancreas che definì “ormone antidiabetico” e denominò “pancreina”. Descrive così gli effetti dell'estratto: «Se nella vena giugulare di un animale reso diabetico dall'asportazione totale del pancreas si inietta un estratto pancreatico si osservano: anzitutto, una temporanea diminuzione o anche un temporaneo annullamento della iperglicemia che può giungere fino all'ipoglicemia; si ha anche una soppressione passeggera della glicosuria; secondo: si constata una riduzione netta della concentrazione dell'urea, nel sangue come nelle urine». Molto simile a ciò che si osserva con l’insulina odierna.
All'11 gennaio 1922 risale il primo esperimento su un essere umano, Leonard Thompson, un ragazzo diabetico di 14 anni considerevolmente migliorato dopo il trattamento con questo ormone. È una svolta epocale nella storia della malattia che diventa improvvisamente curabile.
Ma dove risiede la complessità del diabete? Cosa lo ha reso una malattia incurabile per secoli?
Il mantenimento dei livelli di zucchero nel sangue è un aspetto critico dell’omeostasi del nostro corpo, ossia per permettere l’immagazzinamento delle risorse energetiche e il loro utilizzo durante i periodi di digiuno. Il glucosio è, infatti, la prima fonte energetica utilizzata dall’organismo e l’unico substrato energetico utilizzabile dal cervello, che non può peraltro essere accumulato. Pertanto, è necessario che la concentrazione nel sangue di glucosio sia mantenuta costante. L’omeostasi glucidica è mantenuta dal pancreas endocrino, attraverso insulina e glucagone, ormoni che permettono di mantenere i livelli di glucosio circolante entro 60-140 mg/dL. In condizioni normali, l'insulina rilasciata dal pancreas entra nel circolo sanguigno dove funziona come una "chiave" necessaria per far entrare il glucosio all'interno delle cellule, con azione ipoglicemizzante, abbassando cioè la glicemia. Ciò spiega come mai ad una carenza o un'alterata azione insulinica si accompagni un aumento degli zuccheri presenti in circolo, caratteristica, questa, tipica del diabete.
Ma quindi cos'è il diabete?
Partiamo dalla parola stessa: il termine diabete deriva dal greco e significa "che passa attraverso". Infatti, tra i primi sintomi evidenziati dai medici greci vi era l’elevata frequenza di urine (poliuria) e il dimagrimento progressivo e per questo immaginarono che il corpo fosse in grado di “sciogliersi in acqua" dal verbo greco "diabaino", sciogliersi, passare attraverso. Il diabete mellito è in realtà una malattia cronica molto più articolata, caratterizzata in generale da un eccesso di zuccheri (glucosio) nel sangue, una condizione nota come iperglicemia. La causa dell’iperglicemia, pur avendo sempre come protagonista l’insulina, può essere diversa e per questo si distinguono in generale un diabete di tipo 1 e un diabete di tipo 2: il diabete di tipo 1 ha di solito una base autoimmune che determina la distruzione delle cellule β pancreatiche, responsabili della produzione dell’ormone insulina, portando così ad una diminuita, se non assente, produzione di essa e quindi a iperglicemia. Il diabete di tipo 2 (il più prevalente) è invece solitamente determinato da mutazioni geniche che determinano una scarsa affinità dell’insulina per il suo recettore, portando quindi ad un mancato effetto insulinico e quindi, ancora, a iperglicemia.
Le terapie attuali per il diabete di tipo 1 comprendono ovviamente come primo rimedio la somministrazione di insulina sottocute, prima di ogni pasto. Attualmente esistono e vengono utilizzati anche dei pancreas artificiali, ossia dei sistemi chiusi di rilascio dell’insulina, costituiti da un sensore e un microinfusore i quali interagiscono in modo da calibrare le dosi di insulina da introdurre.
Come alternativa, esiste anche l’immunoterapia, che ad esempio vede l’utilizzo dell’antibiotico immmunosopressore Ciclosporina A, in grado di preservare la funzione delle cellule beta. Ancora, come ulteriore opzione, sono in atto studi sul “Cell replacement” (sostituzione cellulare), un trattamento che sfrutta la tecnologia delle cellule staminali per ottenere dei pancreas artificiali in grado di secernere efficientemente insulina.
Per quanto riguarda il diabete di tipo 2, vengono utilizzati sia approcci non farmacologici che consistono nel miglioramento dello stile di vita, ritardando l’insorgenza della patologia, sia approcci farmacologici, i quali differiscono in base al meccanismo pato-fisiologico.
Nell’ultimo secolo è quindi cambiata drasticamente l’idea che abbiamo del diabete, trasformandosi da una diagnosi che conduceva a morte certa ad una malattia effettivamente controllabile e che permette di avere uno stile di vita pressoché normale. Ad oggi, infatti, non serve più essere drastici nella dieta e severi nell’attività fisica, ma bastano poche semplici regole. Regole da seguire però con costanza tutti i giorni, per volersi bene e non darla vinta al diabete.
È la persona affetta da questa malattia che diventa la vera protagonista della cura. Il medico specialista è solo un facilitatore; sono le persone con diabete, con il loro stile di vita, l’aderenza alle terapie e ai controlli prescritti, l’abitudine all’automonitoraggio corretto della glicemia, che fanno la differenza e vincono la battaglia finale contro questo scaltro nemico.
Alessia Campagnano
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